Le origini degli usi civici e, in generale, delle forme collettive di gestione della terra risalgono ai primi secoli medievali. In territori ostili e selvaggi le comunità rurali, soggette alla podestà dei signori feudali, risposero alle primarie esigenze di sopravvivenza mettendo in comune le principali risorse naturali. Boschi, laghi o prati montani, pur essendo di proprietà dell’aristocrazia feudale o del sovrano, erano aperte al libero pascolo o alla raccolta della legna. In alcuni casi è possibile rintracciare atti notarili con i quali i vassalli concedevano questi diritti ai loro sudditi, mentre in altri si trattava di abitudini tollerate e sopravvissute fino a noi.
Per tutto il Medioevo, fino alla fine del Settecento, gli usi civici e gli altri assetti fondiari collettivi sussistettero su buona parte del territorio italiano, nonostante le prime leggi liquidatorie preunitarie nel Granducato di Toscano o nel Regno di Napoli.
I beni di uso civico sono una eredità antichissima, che in pratica rappresenta un bene che veniva lasciato a disposizione delle comunità dell’Appennino da parte dei “signori” locali: i residenti potevano andarvi a fare legna o ricavarne sostentamento senza necessità di sborsare alcunché. Oggi sono ancora gelosamente conservati e valorizzati dalle comunità locali, attraverso comitati amministrativi. Sono presenti anche a Gova che con fatica e lavoro si cerca di valorizzare il territorio rendendolo fruibile per tutti.