
Scivolo alle grotte di Gova.
Archivio Panizzi

Nel XIX secolo si affermò lo sfruttamento massiccio delle risorse forestali dell’alto appennino reggiano, che divenne una realtà soltanto con l’unità d’Italia, quando ditte specializzate procedettero ad ampi disboscamenti che si ingrandirono ulteriormente durante il primo conflitto mondiale. La crisi dei combustibili era ormai al culmine, particolarmente dopo la ritirata di Caporetto (24 ottobre – 9 novembre 1917), quando andarono perdute le foreste venete.
L’Organizzazione Militare per il rifornimento dei legnami (Comitato Legnami) si riversò pertanto dalle Alpi all’Appennino per reperire il legname necessario al fabbisogno dell’industria bellica. Nel 1917 fu progettata per conto del Comitato Legnami di Modena e Reggio Emilia la strada ferrata che partendo da Quara di Toano giungeva al centro dell’alta Val d’Asta attraverso il versante sinistro della valle del Dolo. Il percorso della lunghezza di 16 km con una pendenza uniforme inferiore al 3%, che attraversava gli abitati di Gova, Novellano, Piandelmonte, e dal Fosso Balocchi raggiungeva la località di Masareto a monte della borgata di Riparotonda, poco a valle del Rescadore di Febbio, dove erano ubicate le sorgenti del torrente Secchiello e la stazione della ferrovia. Per la realizzazione dell’opera fu istituito in Val d’Asta un campo di lavoro per prigionieri dell’esercito austro-ungarico, unico esempio in provincia di Reggio Emilia, con capanne costruite in legno di faggio in stile alpino. Tra queste si ricordano la baracca dedicata al “Capitano Albino Candoni”, la “Stavoli Roner”, il casone “Alto But”, sede del quartier generale dell’azienda costruttrice “Brunetti-De Antoni e C.” che ottenne la concessione dello sfruttamento dei boschi e della ferrovia fino al 1920.
