ANTICLINALI
In condizioni profonde, di seppellimento, sottoposte a pressioni e temperature abbastanza alte, le rocce reagiscono alle compressioni deformandosi in modo “duttile”, ossia piegandosi. Tra le tante forme che possono avere le pieghe delle rocce, se ne riconoscono principalmente due: le pieghe i cui fianchi inclinano dalla stessa parte, convergendo verso basso, si dicono sinformi (sinclinali se al nucleo sono presenti le rocce più giovani), mente quelle che presentano fianchi divergenti e convessità verso l’alto si dicono antiformi (anticlinali se al nucleo affiorano le rocce più antiche). Con il protrarsi di intense spinte orientate le pieghe tendono poi ad assumere forme molto strette, sino a coricarsi e a rovesciarsi. Le pieghe sono riconoscibili con immediatezza se è esposta in affioramento la zona di cerniera, dove si trova il centro della deformazione (la zona di più accentuata curvatura) altrimenti il loro sviluppo si può intuire dalla disposizione, lungo i versanti, degli strati.
ANTICLINALE DI GOVA
Importante struttura tettonica lungo la valle del Dolo, nota come anticlinale o finestra tettonica di Gova, nella quale affiorano arenarie torbiditiche ologomioceniche riferibili alle Arenarie del Cervarola, nelle quali corsi d’acqua hanno inciso tratti vallivi molto incassati.
Vengono distinte tre unità, a partire dal basso:
L’unità arenacea Cervarola cfr. denominata Arenarie di Gova, di età miocenica inferiore e media (Burdigaliano sup-Langhiano inf.); un complesso intermedio marnoso che comprende forse scaglie di origine interna (tipo Modino) sia unità di origine esterna derivate dal margine sudoccidentale del bacino del Cervarola, riferite alla Marne di Civago e alle Argille di Fiumalbo; le Unità liguridi rappresentate dal Flysch ad Elmintoidi di Monte Venere (tipo Caio) e dal suo complesso di base.
Lungo i versanti si osserva bene il passaggio tra le arenarie e le marne sovrastanti e, in prossimità del bellissimo ponte matildico a schiena d’asino sul Dolo, si osserva il contatto tra le arenarie e le marne di Civago. Sul fronte della grande struttura si trova una sorgente di acque sulfuree note da moltissimo tempo.
A nord dell’area si trovano le fonti di Quara, già note nella metà del XV secolo, quando si hanno le prime notizie sullo sfruttamento delle acque di Bagni di Quara, presso la cui copiosa sorgente si era costituito persino uno “stabilimento” per iniziativa del feudatario Luigi da Dallo. Diversi sono i riferimenti alla sua conoscenza ed uso già in epoca romana (tanto che il borgo fu chiamato “Acquarium”): l’acqua era utilizzata per la cura di alcune malattie della pelle. Michele Savonarola, medico presso gli Este, la considerava efficace nelle malattie dello stomaco, in tutte le altre affezioni delle membra, stimolanti il sonno, l’appetito e dotate di azione lassativa. Venivano portate perfino in Francia e Spagna. Una relazione di Antonio Vallisneri riporta che anticamente esse erano chiamate “Balneum Aquarium”; anche il Ricci e Filippo Re ne sottolineano l’azione terapeutica. L’analisi chimica di tali acque ha evidenziato dati interessanti che permettono di definirle, in base alla legislazione vigente, come “ricche di Sali minerali, contenenti bicarbonato, clorurate, sodiche” (W. Baricchi, 1991, G. Sani, 1992).


Arenarie oligoceniche della zona di Gova