OPERAZIONE “TOMBOLA”

Ci lanciammo con il paracadute, la terra si stava avvicinando rapidamente. Con la mano sfilai il gancio e lo tirai con forza verso la spalla. Vidi un gruppo di uomini a terra che gesticolava e saltando qua e là intorno a un paracadute rosso. Appena mollai le cinghie i miei piedi urtarono i rami di un albero e traballando caddi a terra. Stavo nel greto di un ruscello circa 20 metri dal piccolo campo dove erano stati messi i segnali. Bert e Lizza erano caduti sugli alberi ma con l’aiuto dei partigiani riuscimmo a tirarli giù senza danni. Seppi subito che la missione inglese era in un villaggio che potevamo vedere in lontananza a circa mezzo miglio. Un partigiano in divisa, con i gradi di tenente dell’esercito italiano, si offrì di accompagnarci. Eravamo sul lato meridionale di una larga vallata che scendeva verso il fiume. Rumori di spari segnalavano la zona del fronte oltre il versante lontano dei monti a sud.
C’era poca neve intorno e i sentieri che percorrevamo erano pieni di fango. Nella vallata c’erano villaggi case di contadini qua e là sui versanti. Il sentiero verso il villaggio era percorso da contadini coi loro muli che si dirigevano verso la zona del lancio. Subito dopo una svolta del sentiero ci venne incontro un tizio alto. Aveva occhiali spessi e portava un mitragliatore tommy gun. Era, ovviamente, inglese. ‘Come va – ci chiamò – sono il Maggiore Wilcockson. Mi dispiace che non ci fosse nessuno ad accogliervi ma nessuno ci ha detto che sareste arrivati lanciandovi. Rimasi sorpreso nel sapere che la base non li aveva informati e spiegai chi eravamo e quali erano i nostri compiti. Wilcockson diede ordine di raccogliere i nostri materiali e ci accompagnò al suo comando. Wilcockson stava a Gova, un paesino di soli duecento abitanti. In tempo di pace era stata una località turistica per gli sport invernali e poteva vantare due alberghi che ora erano usati come quartier generale della missione e dei partigiani. Appena vidi la comoda stanza, il letto morbido e il bagno pensai che, se anche la mia zona era come quella di Wilcockson quella guerriglia partigiana sarebbe stata proprio una pacchia! Bert era entusiasta da poter lavorare con la corrente elettrica che del resto serviva quasi tutti i villaggi intorno. Informai Wilcockson delle ultime novità del comando ed egli ci spiegò la situazione locale. Il suo compito era di ufficiale di collegamento con un reparto partigiano chiamati i ‘Modenesi’ che controllavano il territorio a sud della città di Modena. La divisione ‘Reggiani’ con cui dovevo operare io era affiancata a quella e prendeva il nome dalla città di Reggio circa una sessantina di chilometri a nord-ovest di Bologna.
Fui lieto di sapere che il comando dei Reggiani era a sole 5 ore di marcia da Gova, così che potevo arrivarci in meno di una giornata di cammino. ‘E dove sono le truppe nemiche più vicine?’ chiesi. ‘La pianura ne è piena, naturalmente – mi rispose – ci sono anche dei presidi lungo la strada statale. Quello più vicino è a un paio di ore di marcia da qui. Erano troppo vicini per pensare a dei lanci di giorno. (…) Non ero eccessivamente impressionato dai partigiani che avevo visto sul campo di lancio e attorno al villaggio. Trasandati in apparenza, pochi sembravano avere il fisico del ruolo come quelli che avevo incontrato nell’Italia del nord. D’altra parte, erano numerosi e ben armati e se fossero stati sopravvissuti tanto tempo su quei monti avrebbero dovuto essere almeno ben organizzati.